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mercoledì 30 settembre 2015

Perché pregare in chiesa?

Se prego mi va bene qualsiasi ambiente – dice la gente comune – perfino la strada”. Con quest'opinione, assai diffusa, si pretende di fare a meno delle chiese, in quanto edifici, e spesso il clero nell'Occidente cristiano le trasforma in sale di riunione o in auditorium per spettacoli di varia natura.
Come al solito è necessario tornare al vangelo per ricomprendere la ragione di antiche scelte. Riporto un brano tratto dal vangelo di san Matteo:

«Quando pregate, non siate come gli ipocriti; poiché essi amano pregare stando in piedi nelle sinagoghe e agli angoli delle piazze per essere visti dagli uomini. Io vi dico in verità che questo è il premio che ne hanno. Ma tu, quando preghi, entra nella tua cameretta e, chiusa la porta, rivolgi la preghiera al Padre tuo che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa» (Mt 6, 5-6).

Il punto centrale di quest'insegnamento è il “tornare in se stessi”, l'interiorizzare la preghiera, evitando di trasformarla in manifestazione puramente esteriore. “Entra nella cameretta”, ossia entra in uno spazio chiuso che ti protegga, in un luogo appartato e lontano dai clamori della piazza (non si può mai veramente pregare in uno stadio o in una piazza!).
Il movimento monastico primitivo comprese ben presto questo passo come un vero e proprio esercizio per interiorizzare la preghiera affinché divenisse quei “fiumi di acqua viva” ai quali fa riferimento lo stesso evangelo. Per interiorizzarla non di rado gli asceti antichi sceglievano piccoli rifugi nella roccia, piccole caverne. Una del genere è conservata in un monastero tra i monti, in Grecia, ed è qui che si ritirava a pregare san Gregorio Palamas (XIV sec.). La piccola grotta è formata da due stanze: nella stanza d'ingresso si sente la cascatella di un fiume adiacente ma, subito dentro, si apre una stanzuccia nel cuore stesso della roccia dove, nel silenzio più assoluto, l'esercizio della preghiera può essere fatto con particolare frutto (1).

Questi non sono che mezzi per riuscire a fissare la preghiera nel cuore, come dicevano i monaci allora.
La chiesa, non diversamente da una stanzuccia, deve avere caratteristiche particolari per permettere l'intimità della preghiera e dev'essere contraddistinta dal silenzio (quanta differenza con diverse chiese di costruzione moderna, dove oramai è palesemente persa questa coscienza ascetica antica!). La chiesa, nei suoi elementi esterni ed interni, deve aiutare le persone in tal senso. Perciò la chiesa non è un semplice luogo in cui, osservando le realizzazioni artistiche in essa presenti, si ha un insegnamento religioso. La chiesa è molto di più ed è indispensabile per la vita cristiana come il cappotto è indispensabile per coprirci dal freddo.
La chiesa non è tanto il luogo del "bello" (quando c'è!) quanto il luogo del "vero" da sperimentare nel cuore (questo è lungi dall'essere capito!).
Non a caso un monaco non ne può rimanere senza e pure l'eremita ha, nella sua casuccia, una stanza adibita a cappella.
La chiesa – in quanto edificio – aiuta a far crescere l'interiorità come la mensa aiuta a sostenere e a far crescere il corpo. Questo dovrebbe essere chiaro ma purtroppo non lo è affatto. A che livello siamo scesi è presto detto.

Un mese fa nella mia città è stato organizzato un evento: erano presenti diversi chioschi con cibi, manufatti e associazioni. Tra essi spiccava il chiosco della Protezione Civile, quella stessa che, nel terremoto friulano del 1976, ha fornito un'organizzazione efficiente per la rinascita della regione colpita.
Il chiosco aveva uno schermo sul quale si proiettava la storia della Protezione Civile. Ad un certo punto, si mostrava il terremoto del 1976 e, tra le altre cose, si scriveva:

«Un terremotato confidò il suo senso di rinascita [sic!] e, rivolgendosi ad un sacerdote, gli disse: “Padre, non inizieremo mica la ricostruzione dalle chiese? Se voglio pregare lo faccio anche per strada! Prima il lavoro!”».

Nello stesso periodo, o poco dopo, l'allora arcivescovo di Udine, mons. Alfredo Battisti, sembrava aver colto la "lezione" del terremotato e tuonava dal pulpito: «Costruiamo prima le case, solo dopo le chiese!».

Queste frasi, anche dopo diverso tempo averle lette, non mi convincevano affatto. Pure nel periodo in cui non avevo alcuna reale formazione religiosa vi percepivo forzature, anomalìe e stranezze. Oggi vi rinvengo un inquietante rovesciamento simbolico. Inutile dire che la maggioranza del clero, già allora, era ben protesa a conformarsi al secolo (2). Un arcivescovo con un maggiore senso e profondità evangelica avrebbe detto: «Costruiamo le case con le chiese».
Mons. Battisti morì pochi anni fa e un amico mi confidò che, andandolo a trovare, sentì dalle labbra dell'anziano arcivescovo amareggiato: «Ho sbagliato molte, troppe cose!». Troppo tardi!

Dunque, già negli anni '70 si manifestava chiaro lo spirito oggi prevalente nel mondo cattolico. Perciò quando iniziai a sentire alcune originalità dalla bocca di papa Bergoglio non me ne meravigliai più di tanto: per me era un dejà vu! Quella mentalità secolaristica che allora affascinava solo il basso clero e alcuni vescovi nel frattempo ha terminato la sua scalata gerarchica conquistandone chiaramente l'apice!

Le frasi riportate hanno impostazioni evidentemente antropocentriche, sottolineano molto l'importanza dell'uomo e del suo mondo secolare e lasciano completamente sullo sfondo le esigenze evangeliche. Per giunta, da allora non ho mai visto una volta, che sia una, qualcuno che, come sosteneva il terremotato, pregasse per strada (in Grecia, al contrario, lo si nota, quando s'incrocia qualche monaco con in mano il komboskìni, anche se oramai è raro pure lì) (3).
In compenso le chiese, costruite ben dopo le case in Friuli, non mi pare abbiano gente particolarmente accalorata nella preghiera! Vi riscontro un pauroso calo di frequenze.

La cosiddetta vita religiosa e liturgica è ridotta meno che al lumicino e non c'era da aspettarsi altro visti i presupposti, dal momento che l'umano in quanto tale deve sempre precedere e mai accompagnare ed essere illuminato dal religioso il quale finisce, così, per languire e morire.

Ben altra mentalità si nota nel salmo 5, 8 che dice:

«Ma io per la tua grande misericordia entrerò nella tua casa; mi prostrerò con timore nel tuo santo tempio» (4).

Vi rinveniamo un atteggiamento che sicuramente pure gli apostoli ebbero, prima della loro disseminazione nel mondo, quando praticavano il tempio di Gerusalemme.
Oggi, però, non è più così perché è stato tutto capovolto.

Che altro dobbiamo vedere per ammetterlo finalmente? 

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1) Affiora alla mia memoria il caso di un pio sacerdote il quale, in ritiro presso un santuario, praticava la preghiera in luoghi simili a quelli di Palamas (forse era Monte Berico o qualcosa del genere). Inutile dire che era preso per i fondelli dai suoi confratelli e dai religiosi stessi. Successe più di vent'anni fa. Nel frattempo anche quelle località e le persone si saranno ulteriormente "aggiornate".

2) "Cosa possiamo imparare dal mondo?" si chiedevano alcuni seminaristi di allora oggi professori.

3) Nel mondo mussulmano è cosa normale sgranare una specie di rosario per recitare i nomi di Allah. Perfino nella Turchia laicizzata odierna lo si vede un po' ovunque e a farlo sono spesso gli uomini più delle donne.

4) Il timore religioso si associa sempre al senso del sacro. Entrambe le cose sono oggi fortemente avversate dal clero cattolico. Senza timore evangelico, però, non si può avere reale fede poiché il timore è, in un certo senso, la "benzina" della fede. La domanda sorge spontanea: che fede hanno questi signori?

8 commenti:

  1. gentile signor pietro si può dire che il senso del sacro si è perso con la rivoluzione liturgica operata dal concilio vaticano 2 ,le chiese barocche lo davano secondo lei oppure no?per me si ,e bisognerebbe far ripartire la tradizione cattolica ,la messa antica, come già fanno gli amanti dell antica liturgia
    fabio

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  2. All'inizio non era previsto tale cambiamento nel mondo cattolico. Ma una cosa è sicura: nel momento in cui in una liturgia non vengono ritoccati solo dei dettagli ma si inizia a fare "taglia e cuci" un po' ovunque, si ha dimostrato a se stessi e a tutti che la liturgia può cambiare e lo può fare anche in profondità. I vari aggiustamenti agli inizi del '900 per il Breviario Romano, seguiti da "taglia e cuci" più profondi con la nuova "Settimana Santa" sotto Pio XII sono solo dei prodromi. L'inserzione del nome di san Giuseppe nel canone romano, motivato apparentemente da motivi di pietà sotto Giovanni XXIII, ha dimostrato che si poteva mettere il dito pure in quella Prex Eucharistica ritenuta fino a poco tempo prima intoccabile. Nessuno reagì. I tempi per un cambiamento totale erano arrivati!

    Questa mancanza di reazione, nel mondo cattolico, è stata possibile perché, per secoli, è stata di fatto tolta ai semplici credenti la possibilità di conservare la tradizione delegandola unicamente al clero. Per secoli i laici, sotto questo aspetto, sono stati ibernati. Il clero si è sentito l'unico possessore e gestore della tradizione cristiana (questo è il clericalismo!). A questo punto la rivoluzione è partita indisturbata all'interno del clero stesso e tutti l'hanno accettata di buon grado. Questa situazione dimostra non solo la malattia di un contesto ecclesiale ma uno stato prossimo alla morte perché solo alcuni secoli prima sarebbero nati molti dibatti e disordini che significavano almeno una vivace attenzione alle cose religiose.
    Dunque fermarsi ad osservare la mancanza di sacro ad un semplice cambiamento della liturgia è molto molto limitativo.

    Per quanto riguarda la cultura barocca, si deve dire che il forte rischio nel quale essa cade (non dimentichi che con il barocco siamo già nell'età moderna) è la celebrazione delle apparenze a scapito della sostanza. Il barocco non è altro che l'antesignano della pubblicità moderna, per certi versi. A me pare difficile trovare in esso un afflato d'interiorità perché il barocco ha intrinseco bisogno di teatralizzare tutto enfatizzando le cose fino al punto che un uomo, che entra in una chiesa barocca, si sente sperduto e quasi inutile, sovrastato da statue con dimensioni sovrumane. L'ethos del barocco, nella mia esperienza, è assai differente da quello antico. Ciononostante ha cercato di trattenere alcune cose che gli pervenivano dalla tradizione antica e che poi si sono sempre più svalutate. Il barocco, in un certo senso, è il canto del cigno della sacralità religiosa poi raggelata nei neoclassicismi e stucchevolmente mediata nelle formalità sdolcinate del romanticismo.

    Un'ultima cosa: avere una liturgia antica ma senza il quadro reale nel quale essa è sgorgata (la reale vita religiosa e spirituale) è come avere qualcosa di mummificato. Per quanto sia interessante, non potrà mai dare vita e si esaurirà in poco tempo. Cose con questi presupposti possono interessare solo gli amanti delle forme morte, altrimenti detti feticisti.

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  3. gentile signor pietro con l ultima cosa che ha detto "feticisti" non le sembra di esagerare ?con la liberalizzazione del messale del 1962 c è stato un risveglio spirituale, molti giovani come me si son avvicinati all antica liturgia e ne hanno riscoperto la bellezza e la profondità ,certo ci vuol un minimo di cultura ,ma se ci si informa leggendo dom prosper gueranger la santa messa si può comprendere il rito, non vedo questo feticismo ,anzi quando il sacerdote ascende all altare rappresenta CRISTO sul calvario che sta per immolarsi nel santo sacrificio incruento per la nostra redenzione ,non è questa la definizione della messa nel chiarissimo catechismo di san piox? il problema è che la gerarchia ha abbandonato Gesù e senza di lui non possiamo fare nulla,secondo me si dovevano lasciare le cose com erano solo leggeri cambiamenti le letture nella lingua parlata e basta ,e messalini bilingue per tutti e il libro di dom prosper, . gli altari non si dovevano girare e sfatare la panzana che il prete dà le spalle ,mentre invece è orazione verso oriente insieme al popolo,ma altare e tabernacolo son insieme nell indicare la presenza reale e le balustre a dare il senso del sacro recinto dell arca ,cosa c è di feticista in ciò ?
    fabio

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    1. Gentile Fabio,

      i lettori che leggono il mio blog sono pressapoco divisi in queste categorie:

      a) coloro che hanno una risposta sicura e vogliono portare i miei lettori alle loro conclusioni. Solitamente quando mi scrivono fanno come i "negozianti" che entrano dalla potenziale "concorrenza" pensando di portar via i "clienti" (essi non capiscono che questo non è un "negozio" e che io non voglio portare necessariamente le persone in una parte ma donare degli strumenti di discernimento);

      b) i confusi che cercano una risposta alle loro domande;

      c) i polemici che, essendosi sentiti toccare dentro, non pongono degli argomenti ma, semmai, degli attacchi personali (questa categoria preferisco non pubblicarla).

      Il suo caso mi sembra, piuttosto, il primo. Ora, dinnanzi alle persone della prima tipologia mi sento a disagio perché so che tali persone non amano discutere ma ricevere solo conferme; più che avere dinnanzi una persona preferiscono avere uno specchio che riflette la loro immagine.

      Per entrare nell'argomento che le sta a cuore, non penso di avere esagerato perché nelle comunità in cui si celebra con il messale latino del 1962 ho visto un po' di tutto, pure i feticisti. Il feticista è colui che, in buonissima fede, ama oggetti e usi liturgici antichi ma con la mentalità dell'antiquario. Altre mentalità strane sono quelle di chi vede la liturgia (del 1962) dal solo punto di vista legale o pietistico (che non è identico a chi vive in modo sano la pietà). Non dico che non possano esserci persone equilibrate, che d'altronde ho potuto pure incontrare, ma converrà con me che ristabilire le ESATTE CONDIZIONI con cui si celebrava la "messa tridentina" nei secoli dopo il Concilio di Trento, significa inevitabilmente ricreare le medesime condizioni con cui, poi, c'è stata la rivoluzione liturgica. Da che "albero" è nata la rivoluzione se non dallo stesso albero cattolico?

      È come se noi, volendo ergerci contro le idee luterane, tornassimo al cattolicesimo degli anni immediatamente precedenti a Lutero (quel cattolicesimo che poi, volente o nolente ha prodotto la Riforma luterana).

      È come se noi, per combattere l'assalto delle muffe in una biblioteca, tornassimo nella condizione immediatamente precedente alla formazione delle muffe stesse.

      Quest'idea staticistica di liturgia e vita cristiana è qualcosa che, assieme a chi ha la mentalità legalistica, pietistica e feticistica, ho potuto riscontrare negli ambienti in cui si pratica l'antica liturgia romana.

      Per questo non è solo necessario tornare ad un'antica liturgia ma riprendere una mentalità più profonda, mistica direi, con la quale vivere il Cristianesimo stesso. Fintanto che ci si mantiene nella superfice non si ha che illuso se stessi e coperto con porporina un cancello arrugginito.

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    2. gentile signor pietro la ringrazio per la sua risposta ,ma non sono come menziona nelle categorie ,accetto la sua argomentazione ,le faccio tante domande solo per capire le cause che hanno portato a questa crisi e il mio difendere la messa antica è per cercare di trovare una specie di argine che fece la riforma tridentina contro il luteranesimo,e non certo il cattolicesimo precedente la riforma luterana ,che era malato dalla corruzione della chiesa la vendita delle indulgenze che denunciò lutero,ci vuole come dice lei un cambio di mentalità ci vuole che i preti siano spirituali recitino il rosario ,si dedichino alle confessioni e diano un esempio vero e non falso come fanno,della riforma di benedetto xvi che ha cercato di fare cosa può dirmi?la ringrazio
      fabio
      fabio

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    3. Benedetto XVI cercando di reinserire la liturgia antica nel Cattolicesimo mi ha fatto pensare a Giuliano l'Apostata quando in un impero che oramai aveva abbandonato il Paganesimo cerca di reinserirlo trovando difficoltà pure a rinvenire dei sacerdoti pagani. Il paragone è scioccante, me ne rendo conto, ma fatte le dovute proporzioni ha qualcosa di profondamente vero: come l'imperatore Giuliano finiva per essere una figura patetica, così lo è stato Benedetto. Ovvio che, da un certo punto di vista, io approvo l'aver valorizzato la forma cultuale tradizionale ma immediatamente mi viene in testa il pretino friulano al quale un giorno dissi: "Dovrai tornare a fare la messa in latino". E quello a me: "Se verrà quel giorno lascerò il sacerdozio". Con questi presupposti che oggi compongono almeno il 95 per cento del cattolicesimo è evidente che un papa che sterza verso la tradizione diviene immediatamente patetico (oltre che esecrato e disubbidito al massimo). Poi, in realtà Benedetto XVI non è che fosse così tradizionale, ma su questo non voglio parlare. Il blog parla di fondamenti cristiani, non di papi!

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  4. Io, modestamente, non credo sia tutta colpa del CV2, i primi assaggi della décadence della CC si intravedevano anche sotto il papato di Pio XII, il problema, a me pare sia dovuto all'improvviso benessere occidentale post bellico, alla tv che entrando nelle case è diventata parte integrante della vita di ogni famiglia, rivoluzioni studentesche o sessuali e il rifiuto di regole hanno fatto il resto, purtroppo siamo una civiltà forse già morta e non si vede ancora cosa potrebbe ravvivare la fiammella del cristianesimo che da qualche parte c'è ancora, al momento siamo sommersi da menzogne e da mussulmani che agli occhi di tanti, troppi atei gai, paiono rigorosi, fermi ed ammirevoli nella loro fede cieca che non ammette scappatoie, è un grave errore che pagheremo salatamente, ma la misericordina bergogliana sanerà tutto, visto il primo posto assicurato in hit parade.......finché dura.Io, quando posso, entro nelle chiesettine romaniche, quelle più spoglie, e prego e non voglio nessuno intorno.Grazie per l'ascolto, buon lavoro.

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    1. Il benessere o la dolce vita possono fare leva in un cuore che ha già abbandonato le esigenze ascetiche cristiane. E questo pare assai evidente nel periodo di Pio XII e, probabilmente, anche prima.
      Ricordo la lunga intervista di una signora sulla tragedia del Vajont (avvenuta nel 1963). Costei ricorda che quasi ogni giorno si recava nel bar del paese - prima che tutto venisse distrutto - e, tra gli altri, incontrava spesso il monsignore del paese con il cappellano. Che ci faceva il monsignore nel bar così spesso? Non dubito del fatto che potrebbe essere stato una persona retta e che, morendo in quella tragica circostanza, abbia trovato riposo nelle braccia del Creatore. Tuttavia è ovvio che il bar non è il luogo del sacerdote e se - come testimonia quella signora - lo era divenuto, è segno che la dolce vita aveva profondamente incantato il clero di allora. Il crollo degli anni '70 e il perfetto adeguamento al mondo di oggi sono solo logiche conseguenze.

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